lunedì 27 ottobre 2014

i giorni che ti fermi

i am not to speak to you – i am to think of you when i sit alone, or wake at night alone,
i am to wait – i do not doubt i am to meet you again

walt whitman – to a stranger


ci sono giorni così, che ti fermi, ma intorno tutto non si ferma. che le parole ti mancano, ma non ne hai voglia. che non c’è musica da ascoltare, e fuori è freddo, alle cinque fa già buio e non sei abituato, e un’altra sigaretta non serve a niente.
sembrano giorni semplici. il letto sfatto, una lavatrice, un piatto di pasta, il tuo odore e le pagine di un libro.
di solito ti inventi sempre qualcosa da fare, e scrivi frasi piene di virgole e congiunzioni, per non avere paura. ma poi un giorno ti fermi, metti un punto e virgola; e così un po’ cedi.

[“ma alla fine, poi, chi sei?”
“un po’ te”]

oggi mi guardavo i peli bianchi della barba, e pensavo che sarebbe bello se qualcuno ci si affezionasse, e che dovrei smetterla di sbagliare, o forse, al contrario, dovrei farlo con più coraggio, o convinzione. e mentre provavo a strapparne uno, senza guardarmi negli occhi, mi son chiesto come sarebbe sbagliare con la persona giusta, guardarsi negli occhi bevendo un caffè, o restare abbracciati un’ora senza dire niente, o annusarsi dopo l’amore, per il puro piacere di scoprirsi e fissare un ricordo, o perdersi. quelle cose così, che poi ti restano in pancia.

[“mi piace da impazzire l’incavo del tuo collo”
“è tuo”
“odio dover restituire i regali”]

ci sono giorni che sarei tentato di arrendermi, ma non voglio darmi questa soddisfazione.


venerdì 17 ottobre 2014

cartoline

che fatica innaturale perdonare a me stesso
di essere io, di essere fatto così male

max gazzè – cara valentina

ieri sono andato all’ikea con un’amica incinta, il suo pancione di cinque mesi, la sua luce splendida, e tutto quello che per troppo tempo non ci siamo raccontati.
facevamo finta, come sempre, per fare gli scemi, di essere due fidanzati in spedizione, e lei, come sempre, è riuscita a farmi ridere e a sciogliermi il nodo alla gola, e mi ha aiutato a scegliere le cornici nere per delle vecchie cartoline degli anni ’20 che, per una serie di giri strani, sono finite nelle mie mani.

[cara lisa,
ti ringrazio proprio per le tue affettuose parole, avendo un po’ di pausa voglio ricordare coloro che sono da me lontani. siamo ancora qui, mi fa male un po’ le ossa per il soffice letto preparatoci. ultimamente ho un appetito che mangerei anche i sassi. non preoccuparti se resti qualche giorno senza mie notizie]
[caro mario,
non potendo di più, t’invio queste due righe, con tanti bacioni affettuosi. io sto bene, ed ora il mal di testa mi è passato. grazie delle belle ore passate ieri assieme. ti penso sempre con grande affetto, ti bacio forte. la tua lisa che ti vuole bene, ciao]

cartoline bellissime, con le immagini di episodi della divina commedia, o dei promessi sposi, o di qualche storia mitologica, fiabe dei fratelli grimm, figure femminili ottocentesche. scritte con una calligrafia ormai quasi illeggibile, sono quello che resta della fitta corrispondenza di due innamorati. lei a casa, con la famiglia, lui a fare il servizio di leva, prima a trento, poi a piacenza, poi chissà. era l’inizio del ventennio fascista.
con la mia amica parlavamo di quanto è strana e difficile la vita, e del nome da dare al bambino, o alla bambina.

[lisetta carissima,
da alcuni giorni son privo di tue nuove, ti scrissi una lettera e spero che l’avrai ricevuta]
[mario caro,
ricevo in questo momento gradita tua, non si comprende come tu sia da lungo senza mie notizie, dato che in questi giorni ti scrissi alcune volte. forse sarà a causa degli ultimi avvenimenti]

sono vecchie, rovinate, alcune bruciacchiate. puzzano un po’ di muffa, sono state chiuse per anni in una scatola in qualche cantina. e adesso le ho io. non so nulla, o quasi, delle persone che se le sono mandate. basterebbe chiedere, sarebbe facilissimo, ma preferisco restino degli sconosciuti, preferisco immaginarli mentre si scrivevano, si leggevano, cosa pensavano, cosa potevano sentire.
e nel viaggio di ritorno, mentre ci raccontavamo ancora le nostre vite interrotte e ricominciate, la mia amica mi ha detto che invece alla fine è tutto così semplice, che a volte basta guardare gli occhi che ci cercano.

[carissimo mario,
anzitutto voglio sperare che questa mia ti trovi del tutto ristabilito, come di cuore ti auguro, poi volevo dirti che ti aspetto, e che lo so che è dura. domenica sera mi confusi e ti dissi il contrario]
[caro mario,
spero che stai bene, vero? ieri è arrivata lisa, mi ha detto che sono tre giorni che non le scrivi. non farti pregare, no?]
[caro mario,
cosa vuol dire questo silenzio troppo lavoro non è vero spero]
[amatissima lisa,
ti sia questa annuncio del mio perdono, io già ti avevo perdonato per il tuo modo di interpretare le mie parole, ora basta, non se ne parli più. il sapersi spiegare è l’unica cosa che manterrà sempre alto il nostro amore. io ti amo tanto e il mio amore non cessa per sì poca cosa]

e adesso ho i ricordi che bussano alla porta. ma, scusatemi, stasera non apro.



giovedì 9 ottobre 2014

scrivo a te, che non esisti

all i want from you is a letter 
and to be your distant lover
that is all that i can offer at this time

sylvan esso – uncatena

scrivo a te, che non esisti.
o forse esisti in tutti gli occhi che incrocio, e in tutte le persone che conosco.
oggi ti cercavo, e eri dentro una canzone dei sylvan esso, e ottobre alla fine è arrivato, anche se sembrava così lontano e continui a non esistere.

[“è così bello restare sulla tua pelle”
“baciami”
“perché dovremmo rovinare tutto?”]

per esempio mi volto a guardare cosa fai, e vedo il tuo sorriso, così luminoso che mi si stringe lo stomaco. oppure mi cade una matita e ti sento, e mi stai raccontando che è stata una giornata pesante, che al lavoro ti hanno rotto le palle, che hai fame e facciamo l’amore o ci facciamo un piatto di pasta, e che potrei essere l’uomo della tua vita, ma raccolgo la matita e forse non l’hai detto.
come quella volta che, a letto a marrakech, o a copenhagen, sudati, mi hai detto che mi ami, e qualche giorno dopo mi hai ucciso e forse che mi ami non l’hai detto.

[“ti ricordi questa canzone?”
“sì. eravamo felici”
“e perché adesso no?”
“perché siamo stufi di tornare“]

a dicembre parto, e tu vieni con me. ci sono un sacco di posti che ti voglio far vedere. mi ascolti e sono incantato dai tuoi occhi, una cosa tipo dolcezza e perversione. spegni la luce e ti avvicini, e mi sembra di conoscerti da sempre, anche se non è vero, anche se sono nuove le tue mani sulla mia barba, e la tua voce ogni volta mi sorprende.
come quella volta che ci siamo rivisti, dopo mesi. e non riuscivamo più a stare nei vestiti, ma il nostro sapore era diverso, e mi hai chiesto piano “tu chi sei” e io ti ho risposto piano “sono un altro”.

[“di che segno sei?”
“io non sono di nessuno”]

e quindi scrivo a te, che non esisti. e se esisti, dove sei.


giovedì 2 ottobre 2014

una volta, a new york

all i need's a little sign
to get behind the sun
and cast this weight of mine

air – all i need

qualche settimana prima avevo scritto alla sua assistente, per chiederle se, per caso, sarebbe stato possibile incontrarlo, visto che avrei passato qualche giorno a new york. mi ero laureato da poco, diciamo circa un anno, e avevo scritto la tesi su uno dei suoi romanzi.
a volte ci si prova, ad annusare i sogni.
lei mi rispose una cosa tipo “mi spiace, ma sarà fuori città per un impegno di famiglia”.

[“ti voglio raccontare una storia”
“che parla di te?”
“no. ma forse tra le righe”]

undici anni fa, in una giornata grigia di tarda primavera, passeggiavo per brooklyn. volevo vedere i posti dove era stato girato ‘smoke’, il film tratto da una delle sue storie più belle. era il mio ultimo giorno in città.
stavo quasi per andarmene, dovevo prendere un aereo per atlanta. ma, cercando la stazione della metro più vicina, mi sono perso. sarebbe bastato girare a destra, e invece forse sono andato a sinistra, e quindi niente, mi sono perso.
e all'improvviso vedo davanti a me un signore di mezza età, che passeggia tranquillo, col sigaro in mano e un cagnolino nero al guinzaglio.
credo di aver pensato di tutto, nel giro di un secondo. o forse mi sono solo detto “ora o mai più”.
“scusi, lei è il signor auster?”
“sì”
“piacere. io sono roberto, sono uno studente italiano e ho scritto la tesi sulla sua ‘trilogia di new york’”
“lo so”

[“alla fine non so nemmeno chi sei”
“potrei essere chi vuoi tu”
“ma chi voglio io non so se esiste”]

e così abbiamo passeggiato e chiacchierato per un quarto d’ora, forse venti minuti. lui andava in videoteca a restituire un paio di dvd, e il cane pisciava per strada.
non ricordo bene cosa ci siamo detti. ma ricordo benissimo i suoi occhi, bellissimi, che mi guardavano pieni, ma era come se fossero da un’altra parte. e forse anche io ero un altro.

[“perché mi guardi?”
“perché non mi viene in mente niente di meglio da fare”
“proprio niente?”
“niente di meglio”]

solo qualche giorno fa, leggendo il suo ‘diario d’inverno’ ho scoperto che, proprio in quel periodo, aveva da poco cominciato a soffrire di attacchi di panico.

[“sarei tentato di baciarti”
“e dopo?”
“ci penseremo dopo”]

c’è che forse io ci provo a perdermi ancora.